Clasa Sanchez – I peccati di Marisa Salas

I peccati di Marisa Salas – Clara Sanchez- Garzanti 2022 – traduzione di Enrica Budetta

Guadalajara, Spagna- 1955- laureata in filologia spagnola
all’Università di Madrid. Inizia presto a pubblicare racconti su riviste e
fare sceneggiature per film per la televisione. Dal 1990 inizia a
scrivere romanzi e da allora ha pubblicato un libro ogni due anni. Con
Gli anni imperfetti e Il profumo delle foglie di limone raggiunge una
grande notorietà in Spagna dove vince Premi importanti e a livello
internazionale. In Italia è pubblicata da Garzanti. Questo è l’ultimo
libro.

Solitamente non sono attratta da libri che raggiungono vendite clamorose e osannati dalla critica popolare. In particolare questo che sul retro di copertina riporta tre frasi che sottolineano il successo di vendita e l’amore delle affezionate lettrici. Ma mi devo ricredere. Questa non è una storia banale come appare dalle prime pagine. Ci porta nel mondo dell’editoria che, come tutti gli ambienti chiusi nasconde inimicizie, gelosie, odi e anche truffe. Inimicizia e gelosia che dividono due scrittrici: una vincente, amata e seguita dalle affezionate lettrici, come la stessa Sanchez, l’altra ignorata e mai più chiamata dall’editore nonostante abbia scritto un’opera avvincente; la stessa opera che improvvisamente viene dopo trenta anni nuovamente pubblicata da un altro editore e da un altro autore con un diverso titolo ottenendo subito un successo clamoroso! E da questo punto si sviluppa un gioco fra il nuovo idolo della letteratura che aveva copiato interamente un’opera di altri, la grande autrice che si sente messa da parte, e Marisa, quella che trenta anni prima aveva scritto il suo primo e unico libro ignorato ma adesso venduto con numeri strabilianti sotto un altro nome. Chi vincerà tra i tre protagonisti? Quello che ci fa andare avanti nella lettura è il gioco psicologico portato avanti da chi potrebbe apparire il più debole, fino al successo finale, anche se non troppo credibile. Si potrebbe approfondire l’analisi osservando la superficialità di certi successi – anche quelli editoriali – la volubilità del pubblico che si innamora di uno o dell’altro personaggio nel giro di poco tempo, il prevalere di valutazioni esteriori più che capacità, talento, serietà culturale. Salta agli occhi il possibile paragone nascosto fra la stessa Clara Sanchez da trenta anni sull’onda del successo, e C. che all’improvviso viene superata nell’amore del pubblico e si sente sprofondare nella depressione. Siamo autorizzati a pensare che la nostra autrice senta arrivare qualche nuovo giovane autore pronto a scavalcarla nelle classifiche. Non è male, nonostante una scrittura scorrevole, ma non molto personale.

Andrea Cerone – Le notti senza sonno

LE NOTTI SENZA SONNO – Gian Andrea Cerone – Guanda Noir 565 pagine

Grazie alla cortesia e alle buone letture di una gentile bibliotecaria volontaria della Biblioteca Cederna, ho potuto conoscere questo Giallo/Nero e questo quasi esordiente autore. Gian Andrea Cerone, esperto in comunicazione nato a Savona quasi sessanta anni or sono, da tempo milanese, esce con questa opera prima molto interessante. E’un vero romanzo, con tanti personaggi ben costruiti e credibili, con tante storie e intrecci, con tre protagonisti assoluti: il commissario Mario Mandelli e l’ispettore Antonio Casalegno; immersi nella vita quotidiana palpitante della questura di Milano. Milano ecco la terza protagonista. Forse la più interessante. Probabilmente è per questo che qualcuno ha ricordato Scerbanenco. (Volodymyr Scerbanenko, Kiev1911-Milano 1969, giornalista e scrittore prolifico di gialli milanesi, ristampati ora da La Nave di Teseo). Mandelli e Casalegno sono alle prese con due orribili storie di violenza che si sviluppano per 565 pagine: una violenza indotta da una mente molto disturbata ed una rapina anomala. E’la rappresentazione del male che scorre vicino a noi e non riusciamo a vedere finché non si esprime con una violenza disumana. E’scritto bene, scorre, induce ad “andare avanti”.

Domenico Dara, Malinverno – Feltrinelli

DOMENICO DARA – MALINVERNO- FELTRINELLI EDITORE

Non è facile presentare questo autore e questo libro. Non si sa bene se classificarlo come narrativa, poesia, filosofia, letteratura. C’è tutto questo unito ad una ricerca linguistica molto sofisticata e ad una grande delicatezza e empatia per tutto il genere umano, anche per quello che sembra scostante, chiuso, diverso. Certo è un libro speciale.
La storia si svolge tutta nel letterario paese di Timpamara, nella realtà Girifalco, posto sulle alture dell’istmo più stretto della nostra penisola, in Calabria, il paese di origine di Domenica Dara. Un paese racchiuso fra il manicomio, l’ospedale psichiatrico più noto del sud Italia all’epoca, posto a nord, e il cimitero a sud; influenzato dalla presenza di una cartiera col suo impianto di macero dove arrivano documenti e libri fuori catalogo per essere distrutti. Queste tre realtà si intersecano nella vita dei suoi abitanti; potrebbero creare drammi, follie; invece, grazie a Dara e alla sua poetica, creano magie. Una magia, una invenzione straordinaria a mio parere, è far volare in paese pagine strappate dai testi da distruggere: i girifalcesi leggono frasi poetiche, parole sconosciute, nomi di grandi personaggi ai quali si ispirano per dare i nomi ai propri bambini. Si lasciano affascinare da mondi sconosciuti. Dalla grande letteratura. Devo dire che per cercare di comprendere meglio quest’opera e togliermi il dubbio dell’influenza della “moda” nata o meglio ri-nata negli ultimi anni, di raccontare storie attorno ai cimiteri (non mi riferisco solo a Cambiare l’acqua ai fiori, ma anche a Qualcosa per cui vivere di Richard Roper) ho letto i due precedenti libri di Dara, Breve trattato sulle coincidenze e Appunti di meccanica celeste. Fra l’altro ho scoperto di poter comprendere il calabrese; ma esiste anche un vocabolario italiano -girifalcese pubblicato sul sito Girifalcesi nel mondo, e questo mi ha chiarito definitivamente ogni dubbio: siamo di fronte non ad una moda ma ad un percorso di ricerca dell’autore che spinto da un sua necessità intellettuale va ad esplorare il mistero supremo dell’Universo, su ciò che muove i destini incrociati degli uomini, accompagnato dal sentimento della comprensione umana, empatia e delicatezza. La storia è collocata temporalmente attorno ai primi decenni del ‘900 e in paese si svolge la vita riservata di Astolfo; un giovane solitario, sognatore, a cui si attaglia perfettamente quel nome letterario – riferito al paladino di Carlo Magno spedito sulla luna a cercare il senno di Orlando perduto per l’amore e la gelosia per Angelica – che trova nel suo lavoro di bibliotecario, nella lettura e successivamente nella scrittura o riscrittura dei finali dei libri, il completamento della sua esistenza. In seguito diventerà anche il custode del cimitero. Con questo nuovo incarico e con l’incontro empatico con la storia di tanti che furono, in particolare con una giovane donna ritratta su una tomba senza nome, le storie di vita passata e realtà si confondono come morte e vita e anche la letteratura tanto amata sfuma nella realtà e viceversa. Per consolare una giovane disperata per la morte del fidanzato alla vigilia delle nozze, Astolfo organizza un matrimonio fra la ragazza, in lacrime ma viva, e il fidanzato, defunto, davanti alla sua tomba. Il percorso di crescita di Astolfo, fatto a piccoli passi irregolari, a causa del suo difetto fisico, attraverso incontri ed emozioni avrà una conclusione ideale quando, a seguito di una inondazione, la biblioteca dovrà essere chiusa. Astolfo decide di seppellire i libri rovinati in una fossa al cimitero e di collocare i pochi salvati in bell’ordine in una cappella vuota; tutto sistemato come su un altare.

Libri trattati come persone, storie immaginarie trattate come vite vissute, così come Astolfo scrive i suoi sogni, le sue fantasie, come fossero racconti reali. Poesia pura. Girifalco, un piccolo paese abitato da tutti i tipi umani, a rappresentare simbolicamente l’Universo e l’Umanità, di cui devono fare parte i sognatori, gli scrittori e i lettori.

Melania Mazzucco, L’achitettrice (2019) Einaudi

MELANIA G. MAZZUCCO


L’architettrice – 2019- – Einaudi (Ultima edizione 2021)


Avevo incontrato questa prolifica e interessante autrice qualche anno fa leggendo La lunga attesa dell’angelo, la bellissima storia vera di Marietta chiamata la Tintoretta, figlia naturale di Jacobo Robusti, il Tintoretto. Ambientata, naturalmente, nella rutilante Venezia del ‘500. Quasi dieci anni dopo esce questa nuova, affascinante storia dedicata ad una artista sconosciuta: Plautilla Briccia (oggi chiamata Bricci) e alla sua opera più notevole la Villa Il Vascello che sarà 200 anni dopo il teatro della disfatta della Repubblica Romana del 1849. Questo secondo piano narrativo è altrettanto affascinante: narra gli ultimi drammatici giorni della Repubblica Romana difesa fino all’ultimo uomo dai patrioti guidati dal comandante Medici, in seguito chiamato Medici del Vascello, asserragliati sul colle del Gianicolo e fa da contraltare storico e simbolico: l’inizio della caduta rovinosa dello Stato della Chiesa ad opera dei volontari risorgimentali contrapposto ad uno dei periodi d’oro del potere temporale, quando c’era il Papa-Re. L’autrice ci dice, fuori dal testo, che per la ricerca di notizie sulla vita e sulle opere della Architettrice, (quanto più armonico e dolce suona questo termine piuttosto che il contemporaneo “architetta”!) ha impiegato quasi dieci anni di immersioni negli archivi prima di narrare questa vita straordinaria attraverso l’escamotage del ritrovamento di un diario personale, arricchito da una superba, strabordante, ambientazione della Roma del pieno Seicento. Mazzucco per circa 600 pagine ci trascina all’epoca d’oro dei Papi quando le famiglie Medici, Borghese, Barberini e Chigi gareggiavano per appropriarsi del potere e di opere straordinarie e degli artisti più quotati; Roma, una città bellissima e insalubre; ricchissima di opere d’arte e di famiglie numerose e povere; funestata dalla peste e dalla dittatura dei principi della Chiesa; nel contempo resa speciale dalle grandi opere di Bernini e Borromini e Pietro da Cortona e numerosissimi artisti attirati dalla generosità dei Papi verso i grandi talenti. Plautilla Briccia, figlia di tal Giovanni Briccio, un bravo quanto squattrinato artista romano che impossibilitato per una malattia invalidante a scrivere e dipingere autonomamente, decide di puntare sull’ingegno e la rara curiosità verso la conoscenza e l’arte della docile e amorosa figlioletta. Plautilla cresce nella ammirazione del padre e nell’abitudine a produrre disegni, piccoli quadri, tele “miracolose”, nascondendo le proprie capacità sotto il nome del padre o del fratello o, addirittura, di interventi prodigiosi. Perché questa è la storia di una donna, grande artista, misconosciuta e sottovalutata fino a tarda età, e fino ai nostri giorni. E anche quando riuscirà, per l’amore segreto della sua vita – l’abate Benedetti- a “architettare” e costruire una villa immaginifica, piena di invenzioni costruttive e artistiche, sul colle del Gianicolo, chiamata il Vascello per l’arditezza dell’impianto architettonico, “edificata a similitudine di un Vascello sopra uno scoglio” e in seguito, anche una bellissima cappella funebre nella Chiesa di San Luigi de’ Francesi, anziché cercare la gloria che si sarebbe meritata, accetta di tenere per sé e solo per sé l’orgoglio di essere la prima donna architettrice. Solo dopo lo sventramento de Il Vascello bombardato dai francesi che assediavano la Repubblica Romana, emergerà una targa col vero nome dell’autore di tale bellezza: Plautilla architectrice fecit.
E’ un meccanismo visto in tanti casi di artiste che, non potendo “per decenza e appropriatezza” secondo il costume dei tempi, firmare col proprio nome i loro lavori, che fossero quadri o sculture, ricerche scientifiche o composizioni musicali, pur di vedere pubblicati i propri pensieri, realizzate le proprie opere, accettavano di farle siglare da mariti, o padri o fratelli. Ma poi, qualche volta, emerge la verità grazie a studiose e autrici determinate a riequilibrare il peso dell’ingegno.

Gianna Parri