Simona Lo Iacono, L’albatro

tipella

Questa estate, nonostante la temperatura esageratamente calda e afosa ,e nonostante dal  terrazzo potessi godere della vista di un lago azzurro dai riflessi dorati, mi sono lasciata trascinare in una Sicilia ancora più calda e assolata; grazie ad alcune letture che mi hanno affascinata ho vissuto per un mese in quella terra ammaliante in quel periodo di passaggio  fra il Regno Borbonico e la modernità. Uno dopo l’altro ho letto L’Albatro di Simona Lo Iacono ,  L’ultimo Gattopardo di David Gilmour, e I leoni di Sicilia. La saga dei Florio di Simona Auci . Infine ho ripreso in mano Il Gattopardo   E’ stata una grande estate!

L’Albatro.   di Simona  Lo Iacono Neri Pozza Editore,  2019

Albatro 01.jpg

Nata a Siracusa nel 1970, è magistrato presso il Tribunale di Catania. Dopo molti racconti, e romanzi brevi, esordisce nella grande editoria con Le streghe di Lanzavacche  nel 2016; con Neri Pozza pubblica Il Morso nel 2017;  l’Albatro è del 2019, finalista allo Strega.

Questo bellissimo, evocativo romanzo, pieno di misteri e magie, è il racconto libero e affettuoso della vita di Giuseppe Tomasi, principe di Lampedusa; nobile intellettuale siciliano che solo a tarda età scoprì una potente vena di scrittore e, dopo una vita da nobile decaduto, dedicata  ai viaggi, allo studio e alla letteratura, in particolare quella inglese, iniziò a raccontare la storia del suo bisnonno, nel romanzo chiamato don Giulio Fabrizio principe di Salina e della Sicilia del 1860. Ci ha lasciato così una preziosa eredità: Il Gattopardo: uno dei romanzi fondamentali del nostro Novecento che rappresenta, attraverso la vita della famiglia Tomasi di Lampedusa legata al conservatorismo della tradizione e il vento rivoluzionario portato dai garibaldini, il  tentativo del cambiamento sociale di un’epoca: dalla Spedizione dei Mille alla fine dell’Ottocento, il passaggio dal sistema ancora feudale al sorgere della classe borghese e alla modernità. Fu pubblicato postumo nel 1958 da Feltrinelli, grazie al raffinato scrittore Giorgio Bassani che ne scrisse anche la prefazione.

La struttura della narrazione si sviluppa su due piani temporali: i due momenti più importanti della storia di un uomo, l’infanzia e gli ultimi giorni di vita che come un cerchio racchiudono il mistero dell’esistenza umana. Da una parte l’autrice racconta gli ultimi mesi di vita dello scrittore, nell’estate del 1957, ricoverato presso una clinica romana, dove il tempo trascorre lento e inquieto; per rendere meno difficili queste lunghe giornate la moglie gli regala un elegante libro per appunti e una stilografica e lo incoraggia a scrivere.  Piano piano la mente ritorna all’infanzia, agli inizi del nuovo secolo, e rivede se stesso, bambino, nella bellissima villa di campagna della madre , a Santa Margherita Belìce, nei pressi di Palma di Montechiaro, che sarà rappresentata nel Gattopardo, come Donnafugata . Bellissima l’immagine del trasferimento della famiglia da Palermo alla campagna.  Emergono qui i favolosi anni del piccolo Giuseppe ambientati nel feudo della madre in cui , durante tutta la stagione estiva una scalcinata compagnia di giro era impegnata a organizzare una  rappresentazione teatrale: su tutti domina la figura misteriosa della donna di fuora. Era un bambino molto amato ma molto solo in una casa di adulti , affidato alle cure di bambinaie e di uno stuolo di servitori. Improvvisamente si ritrova accanto un amico, Antonno: uno strano bambino che fa tutto al contrario delle altre persone: dorme per terra, porta le scarpe legate alle spalle, e inizia i discorsi dalla fine. Giuseppe è felice di questa compagnia e durante i mesi estivi, reso sicuro dalla presenza del piccolo compagno, osa avventurarsi alla scoperta del mondo e dei misteri della vita, nonostante fosse preda dei sogni e della paura degli spiriti che, secondo i servitori di casa , regolavano ogni evento. Insieme affrontano le lezioni della maestra Carmela che li porta nel favoloso mondo delle lettere che , una dopo l’altra, si uniscono e creano parole e le parole trovano favole. Giuseppe vede che Antonno, l’albatro, si ammala e perde le sue belle penne bianche .La principessa madre si preoccupa, finalmente, e per curare il suo Giuseppe non si muove dal suo letto finché il medico non la tranquillizza: il bambino è guarito e Antonno, non c’è più.  Il principuzzo , infine rassicurato dell’amore della mamma, ha superato la malattia e le paure infantili. Ogni lettore darà la sua interpretazione  su Antonno.

A intermittenza  ritorniamo nella Casa di cura sul Lungotevere dove respiriamo il tempo sospeso  per l’attesa della guarigione che non verrà e, più importante ancora, di una risposta di alcuni editori che hanno in lettura il manoscritto de Il Gattopardo. Aleggia la malinconia e la delusione; prima di morire Tomasi vorrebbe vedere pubblicato il suo unico libro. Questo desiderio sarà esaudito troppo tardi.

In quegli stessi ultimi giorni, infatti, Elena Croce, figlia del filosofo Benedetto e consulente per Feltrinelli cerca di recapitare il manoscritto a Giorgio Bassani, direttore editoriale della stessa Editrice. Il tempo trascorre invano . Quando infine egli avrà lo scritto lo leggerà d’un fiato e subito decide di pubblicarlo: è stato uno dei pochi  grandi successi editoriali italiani nel mondo.

Il linguaggio è molto curato, talvolta piacevolmente ricercato in un tempo di scritture sciatte e banali;  evocativo, anche favoloso, come favoloso è il giardino carico di profumi e misteri, o la grande ombrosa biblioteca che promette storie e segreti. Viene sottolineata l’importanza dell’educazione, la conoscenza, la cultura; la maestra Carmela ne è l’emblema, e riesce con la sua fantasia a seminare l’amore per le parole e per la narrazione.  Saranno i libri, infatti,  la grande passione di Giuseppe di Lampedusa Emerge la malinconia , tipica dell’animo siciliano e la nostalgia tipica degli anziani che rivivono i ricordi dell’infanzia; in particolare per un mondo che non c’è più; il cui simbolo è il grande palazzo di via Lampedusa, a Palermo: una volta splendente di lusso e frequentato dall’alta  aristocrazia siciliana ed ora in sfacelo, a causa della perdita dei patrimoni familiari e la rassegnazione  di fronte a ciò che sembra voluto dal destino, non contrastabile, inevitabile, dopo i devastanti bombardamenti degli Alleati. Di fronte a questa decadenza torna in mente l’ultima scena de Il  Gattopardo, quando da quello stesso palazzo i servitori buttano giù dal balcone  la vecchia pelliccia del grande cane di casa Bendicò, che, cadendo, prende la forma di un gattopardo, il simbolo araldico dei principi di Lampedusa,.che precipita.

Gianna Parri

 

Un pensiero su “Simona Lo Iacono, L’albatro

Lascia un commento